Ieri il Washington Post ha pubblicato un’intervista con Bayan Sami Abdul Rahman, rappresentante del Kurdistan iracheno negli Stati Uniti. L’intervista, ovviamente, era concentrata sul prossimo referendum per l’indipendenza previsto per il prossimo 25 settembre.
Un referendum osteggiato praticamente da quasi tutti i protagonisti internazionali, Unione Europea compresa. Nonostante tutto, la rappresentante di Barzani a Washington non retrocede, sottolineando che la decisione di indire un referendum per l’indipendenza – a cui il Kurdistan anela sin dagli accordi post Prima Guerra Mondiale, è soprattutto frutto dei fallimenti dello Stato iracheno dopo il 2003.
In questo senso, è interessante sottolineare quali sono i fallimenti evidenziati da Bayan Sami Abdul: tra i principali denunciati, quello di non essere riusciti a creare uno Stato pluralista dopo la caduta di Saddam Hussein nel 2003. Per la rappresentante curda, infatti, oggi l’Iraq rischia di “divenire uno Stato governato da una maggioranza sciita intollerante”. Una maggioranza in cui a farla da padrone sono le milizie filo-iraniane, che minacciano direttamente la regione del Kurdistan iracheno.
“Siamo preoccupati che alcuni ufficiali dell’esercito iracheno non rispondano al Governo di Baghdad, ma a Teheran”. Una preoccupazione assolutamente fondata, soprattutto dopo che il Parlamento iracheno – dominato dal partito dell’ex premier al-Maliki, legato all’Iran – ha deciso di incorporare la Forza di Mobilitazione Popolare (PMU), all’interno delle forze armate nazionali. Peccato che la PMU, sia praticamente dominata da miliziani finanziati dal regime iraniano, addestrati dai Pasdaran e fedeli al terrorista Qassem Soleimani.
La denuncia di Bayan Sami Abdul Rahman è particolarmente importante, perché viene dalla bocca di chi rappresenta uno Stato de facto, in prima
linea – come alleato Occidentale – nella guerra al Califfato e all’estremismo sciita. Parole che dimostrano come la Repubblica Islamica iraniana non possa essere considerato un partner per la stabilizzazione del Medioriente ma, al contrario, una fonte di rischio e di minaccia. Solo attraverso il ritiro delle decine e decine di milizie sciite da Paesi come la Siria e l’Iraq, infatti, sarà veramente possibile sconfiggere anche le forze del Califfato sunnita.
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