MILANO La sentenza: «Alloggi negati per motivi etnici». Sulla parete dello studio c’è una stampa che raffigura la battaglia di Balaklava (nel 1854, guerra di Crimea): gli storici raccontano che ci furono colossali errori strategici, sortite di pochissimi contro un’infinità, fronti capovolti. In questo studio, con i rom, i due avvocati Alberto Guariso e Livio Neri hanno preparato il ricorso vinto ieri.«Sì, una sentenza storica. Dà ragione ai nomadi» dicono. Fosse solo questo. Dà poi torto a un ministro (Maroni), un prefetto (Lombardi) e un sindaco (Moratti), e dà infine casa a dieci famiglie rom, di nazionalità romena. Dovranno avere le chiavi entro e non oltre il 12 gennaio. Così ha stabilito il presidente della Prima sezione civile del Tribunale Roberto Bichi, il quale ha ravvisato «situazioni di svantaggio» in «dipendenza dell’origine etnica». Ne avevano diritto, gli immigrati. Avevano firmato il contratto di locazione, con l’impegno d’abbandonare in cambio i container del campo di via Triboniano, alla periferia nord-ovest, nella grande area che sarà toccata, attraversata e trasformata dall’Expo. Ma nelle case non erano mai riusciti a entrarci, i rom.
Nel luglio 2009 il ministero dell’Interno aveva stanziato 13 milioni di euro per superare «l’emergenza rom di Milano». Nel maggio scorso il prefetto Gian Valerio Lombardi, il Comune e Onlus che aiutano i nomadi avevano sottoscritto un piano per l’inserimento abitativo di famiglie rom. Il 5 agosto la Regione aveva accolto la richiesta del Comune di individuare alloggi popolari tolti dal mercato. Quattro giorni dopo si siglavano i contratti. A fine settembre tutto bloccato, con l’annuncio dato da Maroni in una conferenza stampa in Prefettura. Ricorso. Domani il sindaco Letizia Moratti incontra l’Avvocatura del Comune. Per definire la strategia. Quali le mosse legali? Tutto il Pdl chiede, si aspetta e pretende la controffensiva, forte e chiara. Ecco il vicesindaco Riccardo De Corato: «La sentenza suona un po’ politica. E lascia spazio al nostro ricorso. Non c’è alcun atto firmato dove c’è scritto che delle case vadano ai rom» . Il giudice Bichi ha fatto riferimento alla «obiettiva constatazione» che «l’interruzione» del progetto «riguarda esclusivamente soggetti accomunati dall’appartenenza alla medesima etnia». Nel contempo il giudice ha scritto che ministero, Prefettura e Comune non hanno fornito «una motivazione per spiegare la persistente inattuazione degli accordi».
Stamane la Lega sarà davanti al Tribunale per protestare, «altro che rom, qui i discriminati sono i tanti italiani da troppo tempo in attesa di una casa popolare» dice il capogruppo comunale Matteo Salvini. Quelle Onlus, cattoliche, capeggiate da don Virginio Colmegna e dalla sua Casa della carità, replicano che gli appartamenti non sarebbero comunque stati dati a nessun altro; le case versano in condizioni disastrose, necessitano di lunghi interventi per la ristrutturazione, ristrutturazione che per la cronaca, adesso, sarà pagata con parte di quei 13 milioni di euro. Don Colmegna dice di non aver avuto rivincite. Si appella al senso di responsabilità comune, «torniamo a lavorare insieme, andiamo avanti» . Questi nomadi sono a Milano da un pezzo, hanno un’occupazione (ci sono muratori, un accompagnatore scolastico, degli operai), hanno figli, e ne hanno tanti; chi li conosce dice che sono ben integrati, che vogliono rimanere in Italia, facendo laureare i ragazzi, e che vorrebbero festeggiare Capodanno nella casa nuova.
Andrea Galli – Corriere della Sera 21 dicembre 2010