La polemica sul burkini sta, ormai da qualche settimana, occupando uno spazio importante sui media italiani ed internazionali. Il burkini non è altro che un costume da bagno “halal”, ovvero accettato da quella parte del mondo islamico che vuole vedere la donna con il corpo interamente coperto.
Come noto, si confrontano due posizioni assolutamente opposte: la prima favorevole ad una accettazione del burkini e una nettamente contraria, quest’ultima fortemente rappresentata dal Governo francese che ha ufficialmente bandito il burkini.
Nei vari articoli scritti in merito, molti si sono concentrati sulla figura della stilista australiana – di origini libanesi – Aheda Zanetti. La Zanetti ha dato una lettura del burkini quasi meramente legata alla moda, parlando delle richieste che arrivano non solo dal mondo islamo/islamista, ma anche da altri gruppi religiosi (ad esempio donne ebree ortodosse).
Pochi però hanno ricordato di menzionare che il burkini fa la sua prima all’inizio degli anni ‘90, in Paesi quali l’Egitto. I primi modelli, furono prodotti dalla azienda turca Hasema (tra le altre, proprio nel periodo in cui inizia a riaffacciarsi l’Islam politico in Turchia).
I primi modelli di burkini, quindi, arrivano anche in Iran. Qui, come racconta la giornalista Masih Alinejad, i nuovi costumi per le donne mussulmane ottengono il parere negativo delle autorità religiose iraniane. I burkini, a detta dei Mullah, sono “troppo sexy” e lasciano intravvedere le forme del corpo. La stessa Masih Alinejad – promotrice della pagina Facebook “My Stealthy Freedom”, contro il velo obbligatorio in Iran – viene fermata dalle forze di sicurezza durante una scampagnata al mare e accusata di “comportamento immorale”.
Nella difficoltà di prendere una posizione netta sull’argomento, bisogna restare fermi su un punto molto chiaro: le donne devono essere libere di scegliere. La loro libertà, però, deve essere veramente slegata dall’imposizione – anche mentale – dettata dalla diffusione secolare di culture misogine e patriarcali.
Ricordiamo che nella Repubblica Islamica, legalmente parlando, la vita e la testimonianza della donna valgono metà di quella dell’uomo. Per lasciare il Paese o per trovare lavoro, la donna deve chiedere il permesso del suo “tutore” che, neanche a dirlo, è sempre un uomo…
Fonti:
https://www.facebook.com/StealthyFreedom/posts/1481838038496952