“Se una pallottola dovesse entrarmi nel cervello possa questa infrangere le porte di repressione dietro le quali si nascondono i gay negli Stati Uniti”, disse un giorno Harvey Milk, ex consigliere della città di San Francisco, in California, ucciso appena undici mesi dopo la sua elezione proprio per le idee che aveva osato difendere e che lo avevano portato ad essere il primo esponente parlamentare dichiaratamente omosessuale eletto negli Stati Uniti. Da allora sono passati 33 anni e quelle idee, nel frattempo, non sono morte e mezzo mondo (o forse più) ha imparato a conoscere quest’uomo grazie al film a lui ispirato realizzato da Gus Van Sant (con l’interpretazione da Oscar di Sean Penn).
Oggi il testimone di Harvey è passato a un altro Milk, Stuart (il nipote), appena diciassettenne quando suo zio venne assassinato. Ne aveva ventitré, invece, quando parlò per la prima volta in pubblico di diritti civili; forse allora nemmeno sapeva che qualche tempo più tardi avrebbe fondato la Harvey Milk Foundation, una associazione che fornisce consigli a tutti coloro che nel mondo siano impegnati nella difesa dei diritti degli LGBT (Lesbiche, Gay, Bisessuali e Transgender). Stuart Milk ha viaggiato per centinaia di migliaia di miglia, ha parlato in oltre 20 stati nei sei continenti conseguendo dozzine di riconoscimenti e premi in nome dello zio tra cui la Medaglia Presidenziale per la Libertà, assegnatagli da Barack Obama, di cui è consigliere personale in materia di uguaglianza globale.
In Italia, però, Harvey Milk non c’era mai stato. La sua prima volta è stata tenuta a battesimo da Equality Italia, la rete trasversale dedicata ai diritti civili, che ha organizzato per Milk una serie di “incontri da Genova a Torino, da Magenta a Milano: un’autentica maratona”, come rivelato da Aurelio Mancuso, presidente di Equality e padrone di casa di questa “cinque giorni” italiana di Stuart. Il messaggio di Milk, che oggi a Roma, a Palazzo Marino, ha incontrato la stampa e alcuni rappresentanti di associazioni che lottano contro la discriminazione, è semplice e chiaro: “Non sarei il nipote di mio zio se non lottassi per difendere quelle idee per cui lui è morto e per le quali ha lottato una vita intera. Un tempo essere omosessuali era illegale ed era considerato una malattia mentale. Da allora di strada ne abbiamo fatta, ma alcuni paesi sono rimasti più indietro di altri nella lotta per i diritti civili. Mio zio è stato il primo politico dichiaratamente omosessuale: sapeva bene che sarebbe andato incontro ad alcuni rischi ma è nostro dovere evitare che, ancora oggi, ci siano persone che rischiano la vita solo perché ad altre appaiano diverse”. (Fonte Il Journal)